La
rabbia non va tenuta dentro
Meglio andare su tutte le furie che rosicare e stare
zitti. Altrimenti viene l’ulcera o si rischia l’infarto. Una scenata
liberatoria è tutta salute. Giusto, no? Che dopo avere litigato
furiosamente con il collega di scrivania o con il partner ci si senta
meglio, può essere. Se non altro, ci si è tolti una soddisfazione. Ma che
sfogare la rabbia sia salutare è una leggenda. Sigmund Freud,
sostenitore del concetto di catarsi, era convinto che la rabbia
repressa potesse accumularsi fino a causare i sintomi dell’isteria. E
ancora oggi la tesi ha una solida popolarità. Nel libro si racconta
che nella città spagnola di Castejon è di moda la «distruggiterapia»
contro lo stress da ufficio: fracassare vecchi
elettrodomestici servendosi di mazze. Gli studi degli ultimi 40 anni però
suggeriscono altre conclusioni: incoraggiare l’espressione della
rabbia infiamma ancora di più gli animi. Praticare sport
aggressivi, per esempio, intensifica l’aggressività
anziché incanalarla. E in test di laboratorio si è visto che i
videogiochi violenti producono spesso lo stesso effetto. «Manifestare
la rabbia» concludono gli autori del saggio «non solo non serve da
valvola di sfogo, ma soffia sul fuoco della violenza».
L’ipnosi
porta a galla ricordi rimossi
Lo si vede nei film, e comunque sembra plausibile: sotto
ipnosi ricordiamo eventi rimossi. Aggirando il controllo del super Io
(freudianamente parlando), liberiamo memorie perdute nel tempo. Addirittura, si
dice, le primissime esperienze di vita. Nel primo dopoguerra la convinzione era
così salda che molti medici ricorrevano all’ipnosi per portare alla luce, nei
reduci, traumi dimenticati che causavano nevrosi. Ma così non è. Nonostante
venga utilizzata, e con qualche successo, nel trattamento di fobie, ansia,
dipendenze, dolore, nel campo della memoria contribuisce piuttosto a creare
falsi ricordi, che sembrano però veri a chi si sottopone al trattamento. «L’ipnosi
può portare a un maggior numero di errori di memoria rispetto al normale tentativo
di ricordare» si legge nel libro I grandi miti della psicologia popolare.
«Questo perché esagera la fiducia nei ricordi anche quando appare
ingiustificata». Non a caso gli psicologi forensi riconoscono che l’ipnosi può
distorcere la memoria, con conseguenze pericolose. Anche perché la rabbia in
genere si placa da sola dopo un certo intervallo di tempo.
Usiamo
il 10 per cento del cervello
Almeno una volta nella vita, probabilmente, lo abbiamo
sentito dire da qualcuno: «Lo sai che usiamo solo il 10 per cento del
nostro cervello?». Affermazione piacevole perché suggerisce l’idea che
le nostre potenzialità siano inimmaginabili, se solo sapessimo come
utilizzarle. Un mito diffuso persino fra gli studenti di
psicologia. E tenacemente sfruttato dai numerosi programmi di
training cerebrale.
Peccato che non sia vero. In effetti, non c’è ragione
per cui il 90 per cento dei nostri neuroni siano degli scioperati. «Il
cervello è stato modellato dalla selezione naturale e il tessuto
cerebrale consuma oltre il 20 per cento dell’ossigeno che respiriamo» scrivono
gli autori del saggio. «È poco plausibile che l’evoluzione abbia
sprecato tante risorse per creare e mantenere un organo così
sottoutilizzato. Difficile credere che un qualsiasi aumento di capacità
di elaborazione non verrebbe colto al volo dagli apparati presenti
nel cervello per incrementare le possibilità di successo
nella continua lotta per la vita». Insomma, il cervello lo usiamo
tutto. Magari male, ma questa è un’altra storia.
Mozart
fa diventare più intelligenti
L’effetto Mozart indica l’aumento
dell’intelligenza dopo l’ascolto di musica classica. Ad alimentare
l’ipotesi fu, nel 1993, un celebre studio (su Nature) condotto
su studenti: il gruppo di coloro che aveva prima ascoltato brani
classici aveva poi mostrato prestazioni più brillanti in compiti di
ragionamento spaziale: piegare e tagliare carta. Risultati non
eccezionali, a dire il vero. Ma tanto bastò per diffondere l’idea che
la musica dei grandi compositori fosse cibo per la mente. L’effetto Mozart
esiste sul serio? Studi successivi, sempre su Nature, rilevarono
effetti nulli o comunque ridotti (al massimo due punti del quoziente
intellettivo) e di durata limitata (fino a un’ora). E dunque? «C’è
una spiegazione alternativa per l’effetto Mozart» sostengono gli psicologi
americani. «È probabile che qualunque cosa aumenti lo stato di
attenzione e vigilanza porti a un miglioramento delle prestazioni in
compiti impegnativi. Ma è poco probabile che produca effetti a lungo
termine. E a questo fine potrebbe bastare anche una tazza di caffè».
Luna
piena, più reati
Nel corso degli anni, il plenilunio è stato collegato
a ricoveri psichiatrici, atti di violenza, incidenti stradali, morsi
di cani, chiamate al pronto soccorso… Idea radicata anche nella
cultura moderna: un sondaggio tra gli infermieri nei reparti
di chirurgia di Pittsburgh (Pennsylvania) dice che quasi il 70 per
cento pensa che la luna piena sia legata a un aumento dei ricoveri. E
uno studio recente su studenti universitari canadesi indica che il 45 per
cento di loro crede davvero nell’effetto lunare.
Se è vero che la Luna influisce sulle maree (è il
ragionamento alla base di questa credenza), perché non dovrebbe agire
anche sul cervello, visto che il corpo è composto per quattro quinti
di acqua? Ma, come ha osservato l’astronomo George Abell,
«una zanzara appoggiata sul nostro braccio esercita sul corpo una
forza di gravità maggiore di quella esercitata dalla Luna».
( I grandi miti della
psicologia popolare,)